Loading...

La storia

Vergine delle Rocce “del Borghetto”
Francesco Melzi (attr.), 1517-1520 (?)
Tempera e olio su tela, 198×122 cm

Copia fedele dell’originale leonardesco conservato al Louvre
Milano, Chiesa di San Michele del Dosso
Congregazione Suore Orsoline di San Carlo

Intervista con Raffaella Ausenda

ATTRIBUZIONE

Il 10 dicembre 1998 le Suore Orsoline di San Carlo organizzano una giornata di studi nel Collegio di viale Majno per presentare la Vergine delle Rocce del Borghetto con una conferenza di Carlo Pedretti, celebre specialista di studi leonardeschi, affiancato dalle dottoresse Gabriella Ferri Piccaluga e Sandrina Bandera.

Il professore, alla fine dell’analisi formale del dipinto, lo accosta a diversi disegni leonardeschi per la Vergine delle Rocce, sottolineando come sia noto un bellissimo disegno della mano dell’angelo su carta francese; ricorda anche come nel Trattato della Pittura di Leonardo sia citato anche il “modo di colorire in tela”.

In una lettera dell’anno successivo, il professor Pedretti scrive:

“Più ci penso, più mi sembra un documento straordinario, forse unico. È certo che i colori del dipinto delle Orsoline recuperato dal restauro sono splendidi e squillanti. […] Penso che sia una versione eseguita in epoca alta, quando quell’archetipo era ancora ben leggibile e magari in Francia: versione eseguita, perché no?, da un allievo, come poteva essere il Melzi e magari sotto l’occhio vigile del vecchio maestro. L’originale era già lì […].
Forse a Leonardo non sarebbe dispiaciuto che una buona e fedelissima copia rientrasse a Milano dove la ‘seconda versione’ (ora alla National Gallery Londra) si era già imposta con la sua iconografia riveduta e corretta”.

Nel 2000, nel catalogo dell’esposizione leonardesca al Museo Nazionale Svizzero di Zurigo, a cui il dipinto viene prestato, Carlo Pedretti infine si esprime a favore dell’attribuzione a Francesco Melzi datandolo all’inizio del Cinquecento. Infatti l’opera è una copia straordinariamente precisa della prima versione della Vergine delle Rocce conservata al Louvre.

Oggi si pensa che Leonardo utilizzasse una tecnica pittorica liberamente mista che ritroviamo nella tavolozza di quest’opera (sapendo, purtroppo, di aver perduto le velature dello ‘sfumato’). L’uso della tela rende supponibile che il dipinto sia stato realizzato in Francia, ma che fosse destinato ad essere trasportato.

Nasce così l’ipotesi attributiva a Francesco Melzi, nobile uomo lombardo, raffinato e colto pittore, intimo compagno di Leonardo dal 1510.

Nel 1517, ventisettenne, lo aveva seguito in Francia, quando il grande e ormai anziano maestro aveva accettato l’invito di Francesco I, rimanendogli accanto fino alla morte, avvenuta il 2 maggio 1519.

Il suo nome è celebre in quanto erede diretto di Leonardo, per aver trasportato a Milano tutti i manoscritti e gli “Instrumenti et Portracti circa l’arte sua e industria de pictori”, ed averne derivato il celebre Trattato della Pittura.

Rientrato in Lombardia prima del 1523 il Melzi si stabilisce a Milano.

Durante il suo soggiorno ad Amboise si pensa che Francesco lavorasse anche sulle opere del maestro, colpito da una paralisi alla mano destra. E allora, forse, la Vergine delle Rocce del Borghetto è la copia dell’opera archetipo, dipinta da Melzi con la raffinatezza tecnica di Leonardo, con materiali preparati in bottega assieme ad un allievo, e su tela in modo da poterla portare a Milano al suo ritorno.

PROVENIENZA

Alla metà dell’Ottocento questo dipinto apparteneva alla nobile famiglia milanese dei Belgiojoso.

Ricciarda, contessa Belgiojoso, lo aveva donato a Clementina Brambilla Balabio, che lo pose nell’oratorio di Santa Maria Assunta.

Questa chiesetta, costruita nel 1822, era isolata nella ‘viuzza del Borghetto’, presso il dazio di Porta Venezia. L’oratorio venne venduto nel 1849 per divenire proprietà della Congregazione delle Suore Orsoline di San Carlo nel 1886.

Nel 2012 le Orsoline decidono di trasferire la Vergine del Borghetto nella piccola chiesa di San Michele sul Dosso, interna all’altro loro convento milanese, di fronte alla basilica di Sant’Ambrogio.

L’AUTORE

Figlio di Gerolamo Melzi, capitano della milizia milanese, divenne allievo prediletto di Leonardo da Vinci.

Nato a Milano nel 1491, apparteneva alla famiglia patrizia dei Melzi, proprietari di una villa tuttora esistente nel comune di Vaprio d’Adda. Dopo aver conosciuto il maestro in occasione del suo secondo soggiorno milanese (1508 – 1513), lo accompagnò nel suo viaggio a Roma nel 1513 e in seguito in Francia nel 1517, dove gli rimase accanto fino alla morte avvenuta il 2 maggio 1519.

Il 25 aprile 1518, nel castello di Cloux, Amboise, Leonardo da Vinci lo nominò nel suo testamento erede di tutto il suo patrimonio.
Dopo la morte del maestro, Melzi trasferì nella villa di Vaprio d’Adda tutti i disegni e i manoscritti artistici e scientifici di Leonardo e li conservò fedelmente fino alla fine della sua vita.

Nel 1520 fu insignito del privilegio di gentiluomo di camera dal re Francesco I di Francia, sposò Angiola dei conti Landriani ed ebbe otto figli.

Negli anni successivi curò la redazione del Libro di Pittura di Leonardo (noto anche come Trattato della Pittura), apponendo paragrafi e brevi note di sua mano, con rigoroso metodo filologico.

Il figlio primogenito Orazio, dottore giureconsulto, cedette il patrimonio lasciato dal maestro toscano a Pompeo Leoni, scultore ufficiale del Re di Spagna Filippo II: fu l’inizio alla dispersione dell’opera grafica di Leonardo.

Le uniche opere certe di Francesco Melzi, firmate in lettere greche dall’artista, sono il Vertumno e Pomona conservato alla Gemäldegalerie di Berlino, la Flora dell’Ermitage di San Pietroburgo, e il Gentiluomo con Pappagallo della Collezione Gallarati Scotti a Milano. Dotato di buon talento, negli ultimi anni di Leonardo talvolta integra la mano del maestro, ormai impossibilitato nel disegno.